Nel corso dell’estate del 2015 noi di progetto I.L.I.E siamo andati a Vicenza a vedere una importante e significativa mostra sulla Grande guerra. Il titolo era molto efficace: “La Grande Guerra. I luoghi e l’arte feriti”. L’esposizione era ospitata all’interno del bellissimo e ottocentesco Palazzo Leoni Montanari.
Già il titolo scelto per raccontare questo poco conosciuto aspetto del primo conflitto mondiale (di cui nel 2015 è ricorso il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia) è bastato per incuriosirci.
L’itinerario espositivo è iniziato con i disegni degli artisti-soldato del regio esercito italiano, i quali disegnarono, con dovizia di particolari, il dramma della guerra. Il compito di quegli uomini era quello di fornire agli alti comandi una accurata documentazione degli eventi bellici.

Il monte Grappa, la linea del Piave e il Carso furono il fulcro di quelle illustrazioni, ma ben presto, oltre alla mera documentazione delle postazioni e delle battaglie, gli artisti-soldato spostarono la loro attenzione sui soldati e sulle loro condizioni in trincea. Ecco allora una rassegna di volti di uomini in divisa, o ritratti di prigionieri austriaci con il volto segnato dalle battaglie, con lo sguardo spento o assente.

Ma la mostra è riuscita a darci un esempio tangibile di quel che fu, nei suoi aspetti più drammatici, l’evento bellico, mettendo in esposizione foto d’epoca di luoghi ed edifici segnati dalle bombe. Tutti questi passaggi sono serviti per introdurci lentamente, ma con un crescendo di partecipazione, al cuore della nostra visita: l’arte ferita. Ecco allora i gessi di Antonio Canova menomati, come la “Testa di Tersicone” priva del viso o la testa dell’opera “La Religione”priva del naso e della bocca, oltre che di una spalla.
Può apparire davvero superfluo mettere in risalto l’arte ferita dai bombardamenti, quando in quel vasto scontro europeo persero la vita milioni di persone. Ma l’arte è la rappresentazione della Vita, l’espressione stessa dei valori e della storia di una società. Ferire l’arte significa colpire nel profondo una collettività.

Quanto poi al fatto che molte delle opere esposte siano state prestate dalla gipsoteca del Canova, alcuni potrebbero obiettare che sono copie in gesso di opere poi realizzate su marmo. In realtà sono esse stesse delle vere e proprie opere d’arte che ci trasmettono due cose: l’emozione e ci regalano informazioni preziose su come l’artista di Possagno studiasse e lavorasse. Ma nel caso della mostra ci trasmettono una ulteriore informazione: quanto può essere micidiale l’esplosione di un colpo di cannone e quanta drammaticità di quel fatto ha lasciato a futura memoria. Quanto alla gipsoteca (che vi consiglio di visitare), fu colpita dai bombardamenti nel 1917.

Il nostro itinerario espositivo è poi continuato visionando le fotografie a colori scattate ai giorni nostri. Foto in grande formato e di grande intensità. Ciò che è stato messo in risalto era quel che è rimasto – molto – delle trincee e dei cannoni su quel che fu il fronte italiano.
Ora comprimario ora sullo sfondo, ben si nota il paesaggio naturale che ha fatto da palcoscenico a quell’assurda mattanza e quasi ingenuamente ci siamo domandati: <<com’è stato possibile che luoghi così splendidi abbiano ospitato una simile tragedia?>>. Di fronte a tali foto, ci siamo anche chiesti quanti sacrifici abbiano fatto i soldati per portare sino in posti sperduti cannoni e munizioni, ma anche quale tipo di sofferenze fisiche abbiano dovuto sopportare per tenere testa non solo al nemico, ma anche al rigido inverno. Poi, più avanzavamo nella visione di tali foto, davvero bellissime, abbiamo lasciato tacere le nostre domande, perché davanti a quelle immagini vedevamo coloro che combattevano in mezzo a quegli spettacoli naturali e probabilmente anche loro, come noi, si saranno certamente chiesti del perché esista una cosa assurda come la guerra.
Una volta terminata la visione delle foto, realizzate dal fotografo italiano Luca Campigotto, abbiamo guadagnato l’uscita, dove era stata riprodotta una trincea. Anche qui, di fronte a questo allestimento, ci siamo fermati a lungo a guardare e a riflettere sulle condizioni di vita dei soldati. Così si è conclusa la nostra visita a questa bellissima ed intensa esposizione che ci ha fatto riflettere, ma che ci ha anche fatto nascere nuove domande sul primo conflitto mondiale. Domande che anche se continuassimo a studiare per numerosi anni quel drammatico periodo, continueremmo a porci e alle quali, con molta probabilità, non troveremo mai delle risposte definitive.

Michele TONIN per progetto I.L.I.E.