Sono sempre più frequenti le notizie riguardanti le cosiddette “bombe d’acqua”, ovvero forti acquazzoni che si verificano in poco tempo in un determinato luogo, i quali scaricano al suolo un carico spropositato di litri d’acqua. Non è raro, in questi casi, sentire che, nella zona colpita, è piovuta la stessa quantità d’acqua che generalmente precipita in uno o più mesi. Ciò significa che i pochi fossi rimasti, gli scoli previsti lungo le strade, i fiumi e i terreni incolti o coltivati fanno fatica ad assorbire, in un breve lasso di tempo, tutta quella pioggia. Così ci si ritrova poi a fare la conta dei danni, ma anche a contare (talvolta) i morti e i feriti. Lo scorso inverno abbiamo letto sui giornali e visto in televisione, anche un altro fenomeno atmosferico particolare: la “bomba di neve”, ovvero una nevicata di proporzioni anomale.
Questi fatti, come molti altri, sono considerati dagli esperti dei veri e propri campanelli d’allarme, cioè dei segnali che ci stanno avvertendo che il clima sta cambiando e non in modo naturale, ma indotto dalla mano dell’uomo. Da sempre, infatti, la nostra specie ha prodotto inquinamento, ma è stato comunque “contenuto”. È con la rivoluzione industriale che ci siamo impegnati al massimo per devastare questo nostro pianeta. Inutile dire che il meglio -per così dire – lo abbiamo dato dopo il secondo conflitto mondiale, quando abbiamo iniziato ad immettere sempre più fumi nocivi nell’atmosfera e sempre più sostanze chimiche e plastica nei fiumi e nei mari.
Abbiamo agito come se pensassimo che l’ambiente fosse provvisto di un proprio sistema autopulente o come se le risorse naturali che andavamo ad estrarre fossero infinite. A poco a poco la Terra e l’intero ecosistema in esso vivente, ci hanno fatto capire che stavamo inquinando l’unico posto che ci ospita e che ci permette di vivere. È stata una presa di coscienza lenta, che inizialmente ha coinvolto poche persone, fino poi a coinvolgere, negli ultimi decenni, l’opinione pubblica.
I primi campanelli d’allarme sono arrivati negli anni ’80 del secolo scorso, con la grande mobilitazione di scienziati e ambientalisti contro la deforestazione della foresta amazzonica in Brasile e il successivo avvertimento della formazione del buco dell’ozono; poi un altro avvertimento arrivò nell’aprile del 1986, quando scoppiò il reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl, in Ucraina. Tutti questi e molti altri furono eventi compiuti dall’uomo, che ci hanno fatto capire quanto poco poteva bastare per minacciare il nostro mondo e la nostra stessa sopravvivenza.
Oggi sappiamo che l’inquinamento dell’aria e dell’acqua (due elementi vitali) ci sta portando non solo verso un cambiamento climatico i cui effetti sono già visibili, ma sta portando sempre più all’estinzione sia di alcune particolari specie sia dei loro habitat naturali. Lo si è già più volte detto: se per i dinosauri il killer fu un gigantesco asteroide, per molte specie oggi estinte o in via di estinzione, quel killer siamo noi. Ed è curioso che se non sapremo porre rimedio in tempi relativamente brevi ai nostri danni, potremmo essere noi i prossimi ad estinguerci. E per la Terra inizierebbe una nuova era.