Con l’invenzione del treno, nasce il business più importante del XIX° secolo: la costruizone delle strade ferrate. Grazie a questo nuovo mezzo di trasporto viene realizzato il ponte ferroviario di Verona. Di seguito vi raccontiamo l’interessante storia.

Nell’Ottocento il business più importante era quello della costruzione delle strade ferrate. Non era solo curiosità o moda, nata attorno a un mezzo di trasporto nuovo, ma una fonte di guadagno sicura, che consentiva di trasportare con maggiore rapidità, da un luogo a un altro, beni che altrimenti non avrebbero mai varcato il limite territoriale del luogo di produzione. La strada ferrata, ben presto, si rivelò anche un ottimo modo per collegare territori vasti e far spostare persone e idee in modo molto più rapido rispetto al passato.

Inizialmente i governi dei vari Stati italiani non capirono bene le potenzialità di questa nuova invenzione, mentre alcuni imprenditori e commercianti sin da subito videro nella ferrovia un ottimo mezzo per poter espandere i propri affari.

Verso la fine degli anni ’30 del XIX° secolo finalmente un po’ ovunque qualcosa sembrava muoversi. Nell’immenso Impero austro-ungarico si progettarono tratte ferroviarie allo scopo di collegare i territori della grande nazione asburgica. Nel Regno Lombardo – Veneto si pensò di costruire la tratta ferroviaria che avesse lo scopo di collegare la città di Milano a quella di Venezia. Prima dell’inizio dei lavori, nella nascente opinione pubblica, si accese un grande dibattito perché c’era chi voleva che la tratta attraversasse e si fermasse nel maggior numero di centri intermedi e chi voleva che collegasse esclusivamente i due punti estremi.

Al dibattito partecipò anche Carlo Cattaneo, sostenitore della tesi dei piccoli centri intermedi, ma non di quelli troppo piccoli e privi di industrie, come scrisse nella sua relazione dal titolo: “Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia” del 1836 :

“Qualcuno pensa che la strada ferrata passando nei luoghi privi di città recherebbe nuova vita ai territori obliati, e spargerebbe l’industria e l’abbondanza ove n’è appunto maggiore il disagio.”¹

Cattaneo, nel suo trattato, era conscio delle difficoltà tecniche per realizzare l’opera, tanto da affermare che “il punto più difficile è davanti di Vicenza e Padova, dove si parano attraverso alla linea prima i Colli Berici, poi i Colli Euganei.”

Essendo la linea Ferdinandea (Milano-Venezia) un’opera realizzata da privati, ma con una utilità pubblica, Cattaneo asseriva che “dobbiamo sempre preferire quella linea che produce maggior numero di faccende; perché lo scopo non è tanto di passar velocemente, quanto di rendere lucrosa codesta velocità.

Negli stessi anni, verso la metà degli anni ’40 dell’Ottocento, Camillo Benso Conte di Cavour (futuro primo Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia unita) sulla ferrovia scriveva: “imprimeranno all’industria un enorme impulso; avranno sin dall’inizio un’ottima resa economica, accelerando la marcia in avanti della società. […] Se quanto abbiamo detto è vero […], nessun paese più dell’Italia ha ragione di fondare le più grandi speranze sui risultati delle ferrovie.”²

In questo clima di grande entusiasmo – sia economico sia sociale – nei confronti di questo nuovo mezzo di trasporto venne riposta grande fiducia per far progredire, dal punto di vista economico, i territori attraversati. L’Imperiale Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea (così chiamata in onore dell’Imperatore austriaco Ferdinando I°, zio di del futuro Imperatore Francesco Giuseppe) iniziò a vedere la luce nel 1841, per essere ultimata nel 1857.

Per far sì che la tratta potesse partire dal capoluogo lombardo e arrivare senza intoppi a quello veneto, fu necessario costruire diverse importanti infrastrutture: il viadotto di Desenzano, il ponte vicino alla piazzaforte di Peschiera, il ponte sulla laguna di Venezia e il ponte a scavalco dell’Adige a Verona, intitolato a Francesco Giuseppe, che nel frattempo era salito al trono.

Il ponte ferroviario scaligero (costruito fuori dalle mura cittadine) mise in collegamento la stazione ferroviaria di Porta Nuova con l’altra stazione cittadina, quella di Porta Vescovo.

Il manufatto, lungo 272 metri e largo 10,72, oltre a essere occupato dai due binari, ha due marciapiedi laterali.

All’inaugurazione, avvenuta sul finire del 1852, vi parteciparono le più alte autorità cittadine e il federmaresciallo Josef Radetzky, che era il Governatore civile e militare del Regno Lombardo-Veneto. Il convoglio inaugurale – secondo le cronache dell’epoca – partì dalla stazione ferroviaria di Porta Vescovo e si fermò sul ponte. Lì la banda militare austriaca suonò l’inno imperiale per poi proseguire alla volta della stazione di Porta Nuova.

Il manufatto, che permise di superare l’ostacolo del fiume Adige, fu progettato dagli ingegneri padovani Girolamo Dondi e Orologio Annai. Fu costruito in soli due anni dall’impresa Tallarchini di Casciago. Ad oggi la linea ferroviaria Milano – Venezia è complessivamente lunga 267 Km, serve le città e le province di Brescia, Verona, Vicenza e Padova, oltre che i territori dei due capoluoghi di regione.

Nel corso della tragica notte tra il 24 e il 25 aprile 1945 fu fatto brillare dai tedeschi in fuga, ma a differenza di tutti gli altri ponti cittadini, non subì danni tali da impedire alle truppe alleate di entrare trionfalmente in città. Circa un anno più tardi fu reso di nuovo pienamente operativo.

Oggi questa importante linea ferroviaria ha davanti a sé una nuova sfida: quella dell’Alta Velocità, un progetto in fase di realizzazione che porta con sé grandi discussioni sia tra gli addetti ai lavori sia tra la popolazione. Al netto di tutto, questa nuova sfida tecnologica avrà bisogno della costruzione di un nuovo ponte a scavalco dell’Adige, ma questa è tutta un’altra storia.

Testo di: Michele Tonin per Storie di Verona e Progetto I.L.I.E.

Foto di: Marco Bertazzoli per Storie di Verona e Progetto I.L.I.E.

FONTI BIBLIOGRAFICHE:

Patuzzo M. – L’Adige – Verona e i suoi ponti, Vago di Lavagno (Vr),Gianni Bussinelli Editore, 2015

² E.Collotti, E.Collotti Pischel – La Storia contemporanea attraverso i documenti, Bologna Zanichelli, 1974