In questi giorni molte testate stanno ripercorrendo i primi giorni del grande lockdown di un anno fa, mentre stiamo per ritrovarci nella stessa situazione. Anche per progetto I.L.I.E avevo pensato di scrivere un articolo a riguardo, ma sinceramente mi sono accorto che non ci sono parole per descrivere quello che è accaduto un anno fa e che stiamo rivivendo oggi.

In questo anno è stato scritto e detto molto sulla pandemia, però nessuno degli articoli sin qui pubblicati sono perfettamente in grado di raccontare quello che abbiamo vissuto, perché abbiamo bisogno di trovare le parole giuste per raccontare e ricordare, sia a noi stessi sia alle generazioni future, ciò che è successo. Perché per farlo abbiamo bisogno di tempo per elaborare quello che abbiamo vissuto.

È così per tutte le tragedie: dopo ogni evento drammatico serve tempo per pensare e capire quanto è accaduto. Poi, dopo aver elaborato i fatti, si può portare la testimonianza. Per non dimenticare e cercare di costruire un argine per fare in modo che quanto accaduto non si ripeta o quanto meno si riescano a prendere dei provvedimenti tempestivi.

Per questo motivo ho scritto questa poesia, perché adesso, nel momento che stiamo vivendo, non ci sono parole o sono del tutto insufficienti. Ma la poesia ha il potere di riuscire ad arrivare la dove un normale testo scritto non riesce ad arrivare.

E NON CI SONO PAROLE

E non ci sono parole
per colmare lo sgomento
in questo strano tempo.

E non ci sono parole
per i camion che Bergamo
in quell’oscura notte attraversarono.

E non ci sono parole,
in un mondo ormai stravolto,
per raccontare questo male.

E non ci sono parole,
solo umana solidarietà,
in questo mare di dolore.

Articolo e poesia di: Michele Tonin per progetto I.L.I.E.

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Foto di copertina: dal web.