Nel nostro viaggio attraverso i ponti per raccontare Verona abbiamo visto quelli lungo l’Adige, ma vi vogliamo raccontare di altri ormai scomparsi da tempo che erano posizionati lungo il corso del canale artificiale chiamato dai veronesi “Adeséto”, Adigetto. Secondo vari studi si trattava probabilmente di un antico ramo del fiume Adige che col tempo, depositando i detriti, divenne un fiumicello che si impaludava nelle campagne esterne alla città e solo in epoca romana venne canalizzato. Il suo percorso partiva dall’incile di Castelvecchio formato da tre archi, ancora oggi visibili dai giardini dell’Arsenale, lambiva esternamente le mura comunali che troviamo in via Pallone per sfociare all’altezza di ponte Aleardi. L’Adigetto di fatto tagliava la città antica dalla Cittadella e dalla Valverde, rendendola effettivamente un’isola, circondata da dall’ansa dell’Adige e a sud dall’Adigetto. La sua funzione oltre a fungere come fossato per il sistema difensivo e al commercio era anche quella di scolo in caso di piene dell’Adige.
Per raggiungere il cuore della città, o per uscirne, si avevano a disposizione 5 ponti che attraversavano l’Adigetto; partendo dall’incile di Castelvecchio, ovvero dove l’acqua dell’Adige convogliava nel canale, e andando verso la foce si trovavano:
Ponte di Corso Castelvecchio, ancora oggi visibile l’arcata in pietra e mattoni misti affacciandosi dal muretto che delimita il fossato del Castello (ovvero il letto dell’Adigetto) su largo Don Bosco. Forse il più importante di tutto il canale perché consentiva il passaggio della via Postumia, che per secoli fu la principale strada d’accesso alla città fino alla costruzione di Porta Nuova e dell’omonimo corso; è risaputo infatti che Porta Palio, pur trovandosi sul rettilineo della via Postumia (corso Porta Palio, corso Castelvecchio, corso Cavour), veniva aperta in poche occasioni tanto che i veronesi la chiamarono porta Stuppa, cioè chiusa, bloccata.
Ponte Daniele Manin, già Ponte Ferdinando, dedicato all’imperatore Ferdinando I d’Asburgo, ma dopo il 1866 fu intitolato insieme alla via al patriota Manin che tra l’altro animò la resistenza contro gli austriaci che tenevano sotto assedio la città. Collega la zona della Valverde con il rettilineo di via Marconi, però passando non ci si accorge di superare un ponte. Guardando bene, appena prima dell’ex garage Fiat in stile Decò, ci sono due parapetti in pietra con lo stemma di Verona. Da quello di destra oltre alla targa sul muretto in alto che lo denomina, si nota ad un livello più basso il prato che ha preso il posto dell’alveo. Affacciandosi a sinistra si vede, tra l’incuria, l’arcata in pietra bianca e mattoni. Sempre dal lato sinistro si scorge anche una torretta merlata addossata al Teatro Filarmonico che faceva parte delle mura comunali lungo l’attuale via Roma.
Ponte di Corso Porta Nuova, il fiumicello proseguiva il suo tragitto sull’attuale via dei Mutilati e passando sotto Corso Porta Nuova sbucava in quello che è denominato Interrato Torre Pentagona, dalla vicina torre pentagonale che affianca i portoni della Bra, lambendo il retro del palazzo della Granguardia. Di questo ponte non rimangono tracce se non il fatto che per raggiungere l’Interrato si debbano scendere delle scale.
Ponte Cittadella, al termine dell’Interrato salendo nuovamente avremmo potuto trovare il ponte della Cittadella di cui non è rimasto nulla, se non la targa sotto l’arcone delle mura comunali, ma probabilmente scavando si potrebbe rinvenire ancora dei resti sotto il manto stradale. Era un altro passaggio fondamentale che dalla città antica portava alla zona della Cittadella, edificata alla fine del ‘300 per le guarnigioni militari da Giangaleazzo Visconti, consisteva in un muro perimetrale dai portoni della Bra a Porta Nuova che racchiudeva al suo interno già molte chiese e monasteri, ampi orti e fabbriche artigianali.
Ponte Rofiolo, il canale continuava poi lungo l’attuale via Adigetto seguendo sempre l’andamento delle mura fino ad arrivare ad un altro passaggio chiamato ponte Rofiolo. L’antico appellativo attestato già nel ‘200 sembra derivare dall’accorpamento delle parole “rio” e “fiol”, ovvero figlio del fiume, riferendosi all’Adigetto. Il termine “rio”, che pare così desueto, in realtà a Venezia è il modo in cui sono chiamati tutti i canali, o nella vicina Mantova il Rio è il corso d’acqua che taglia il centro storico. Un’altra ipotesi del toponimo parrebbe derivare dal bassorilievo funerario romano inglobato nel muro della palazzina a destra dell’arcone delle mura, il quale raffigura quattro busti maschili riconducibili a una remota leggenda che narra di un padre ucciso dai tre figli durante la costruzione del ponte. Il nome deriverebbe allora da “reo filio”, ovvero figlio colpevole.
Anche in questo caso resti del ponte non si riscontrano, ma lo ritroviamo nella toponomastica della via Ponte Rofiolo che è il proseguimento, passando dall’arcone, di via del Pontiere. Percorrendola ci ritroviamo davanti a una delle più belle facciate affrescate di Verona, quella di casa Cavalli, con pitture murali della metà del ‘500 di Nicola Giolfino raffiguranti figure allegoriche e divinità danzanti su uno sfondo azzurro.
Giunti al termine di questo itinerario di poco più di 1 km, all’altezza di Ponte Aleardi, precisamente dove in lungadige Capuleti si trovano i resti delle mura, scendendo al giardinetto affacciato sul fiume, si può vedere sopra il volto da dove fuoriusciva il canale la data MDCXXXII, 1632, quando probabilmente in quell’anno furono eseguiti dei lavori di sistemazione. L’acqua smise di fluire nell’Adigetto nei primi anni ’20 del ‘900 quando fu interrato totalmente per questioni igieniche e da allora non ne rimane che il ricordo quasi sbiadito dal tempo.
Testo, foto e illustrazione di Marco Bertazzoli di @Storie_di_Verona per Progetto Ilie
Bibliografia
P. Brugnoli, Le strade di Verona, Newton & Compton Editori, 1999
N. Cenni, La Verona di ieri, Industria Grafica Moderna s.p.a., 1973
G. Rapelli, Prontuario Toponomastico del comune di Verona, Edizioni La Grafica, 1996