“Te ne andasti dalla patria senza mai dimenticare il suo odore,
l’odore della patria è l’incenso che brucia nelle strade conosciute.”
Félix Luis Viera

Innumerevoli scrittori e poeti hanno dedicato appassionati riferimenti alla propria patria; alcuni di loro scegliendo di descriverla mediante sensazioni olfattive. Non essendo una letterata vera e propria, io non saprei attribuire un odore alla mia patria, intesa come l’Italia. Però ho una reminiscenza molto nitida del mio “agreste loco natio”, che ha accolto i miei primi passi e che mi ha indotto a uno stretto rapporto con la natura.
Ho usato un’espressione soave, esageratamente idilliaca, ma non troppo lontana dalla realtà, per denominare il luogo in cui ho trascorso la mia infanzia: la campagna.
La mia famiglia non svolgeva un’attività di tipo rurale, eppure il nostro pezzo di terra ospitava un vigneto, un immenso orto e una distesa lussureggiante d’erba, punteggiata di candide margherite, sinuosi papaveri, allegri fiori di tarassaco e timidi “occhi della Madonna”.

Porto impressi nella memoria in modo distinto i colori del prato, anche se non conosco i nomi precisi della vegetazione. E ricordo che non c’è niente di più bello che giocare all’aria aperta, immersi nella natura! Ora ho perso la vena ecologista e l’amore per la campagna, purtroppo, ma sono ancora convinta che un bel prato per i passatempi dei bambini sia l’ideale.

Ho giocato spesso e con immenso piacere nel verde. Con un gruppetto di amici o di cugini, si giocava a nascondino tra le vigne, i noccioli e i prugni. Oppure ci rincorrevamo da una parte all’altra del campo. Sulla ghiaia di fronte all’ingresso, poi, c’era lo spazio per “un, due, tre… stella!” e per altri divertimenti più “urbani”.

Ma l’attività che mi emozionava oltremisura era correre a perdifiato nell’erba. Ero piccola, quindi i fili verdeggianti mi sembravano molto alti, anche se magari erano lunghi solo 20 o 30 centimetri.

Correvo da un capo all’altro del campo e sentivo il solletico dell’erba sulle gambe. Poi mi giravo indietro per guardare i solchi prodotti nel verde. Quindi ripartivo verso altre direzioni, aprendo le braccia per colpire i poveri petali colorati o per far volare i “soffioni”. Ridevo come una pazza. Nient’altro riusciva a farmi sentire tanto libera, tanto vicina al cielo, tanto in armonia con l’universo come quelle sfrenate corse nel prato!
Probabilmente qualche volta mi sarò anche sdraiata in mezzo all’erba, per riprendere fiato…
Amavo l’erba. La amavo inspiegabilmente più dei fiori e di qualsiasi altro elemento naturale. E la amo ancora. Soprattutto adoro il suo profumo, che si sprigiona quando viene tagliata. Non pensate male, eh, ovviamente io mi riferisco a quella dei prati, nel senso originale e innocente del termine. Ogni allusione alle sostanze stupefacenti sarebbe fuori luogo!

Dicevo che mi emoziona ancora l’odore dell’erba appena tagliata. È un odore che purtroppo non sento più tanto spesso, perché oggi i parchi sono pochi e lo smog dei centri urbani copre ogni fragranza della natura. Ma a volte, con un po’ di fortuna, mi capita ancora di passare accanto a un giardino in cui qualcuno sta tagliando l’erba… E non posso fare a meno di ricordare la mia serena infanzia, di tornare ai meravigliosi momenti in cui mi sono sentita libera e fresca come un ruscello di montagna.
Ecco, la mia patria, cioè il luogo in cui sono nata, ha il chiaro, leggero, arioso odore dell’erba. Invidio i bambini che durante l’estate hanno la possibilità di rotolarsi liberamente tra i suoi steli (anche se ormai è consuetudine poco diffusa). E suggerisco agli adulti di inspirarne il candido profumo, magari camminando sopra quel morbido manto a piedi nudi. Proveranno una sensazione di rinascita!

Testo di: Elena per progetto I.L.I.E.

Illustrazione di: Davide Z per progetto I.L.I.E.