Longarone è un paese ricostruito, un paese che si è rialzato dopo il disastro. La ricostruzione ha dato un volto moderno, quasi claustrofobico e senza anima. È una sequenza di edifici moderni, ma privi di respiro, dove il ricordo di quel che è accaduto sembra quasi che lo si sia voluto dimenticare, rimuovere.

Il nuovo nucleo urbano non ha luoghi fisici di aggregazione e la memoria è affidata a dei pannelli sparsi qua e là, con la riproduzione di vecchie fotografie in bianco e nero del paese. Foto che ci mostrano com’era la “piccola Milano” un tempo: una cittadina piena di case e di palazzi vissuti. Luoghi con una storia e una memoria.

La furia dell’acqua non ha solo spezzato vite e distrutto case, ma sembra abbia anche cercato di spazzare via Dio. Ne è l’esempio eclatante la chiesa, costruita sul finire degli anni ’70. Prima di quel tragico 9 ottobre vi era una grande chiesa settecentesca, riccamente arredata e con un grande campanile. L’edificio sacro ora esistente, oltre ad essere stato ricostruito qualche metro più su rispetto a dove si trovava il precedente, sembra essere stato marginalizzato, schiacciato, quasi nascosto alla vista. È un edificio grigio, costruito con uno spesso strato di cemento armato. Sembra quasi una gigantesca spirale.

Nel momento in cui sono entrato quel che mi si è presentato davanti mi ha lasciato basito: solo gradinate poste circolarmente attorno all’altare! L’immagine che subito mi è venuta in mente è stata quella di un teatro o di un palasport. Questo luogo di culto è stato costruito in forma ovoidale, e la presenza delle gradinate impedisce la possibilità di sistemare delle panche con degli inginocchiatoi. In questo modo l’arredo è quasi minimalista, ma quella funzione propria della chiesa-edificio viene meno. L’ambiente sacro dovrebbe invitare chi vi entra a raccogliersi in preghiera, a cercare il contatto con Dio. In realtà questo aspetto manca, perché è un luogo freddo e dispersivo. Di chiese costruite negli anni del boom economico e anche dopo ne ho viste, ma mai così prive di anima.

A sinistra dell’altare vi è la statua della Madonna, le cui mani sono state mozzate dalla furia dell’acqua e ritrovata alcuni giorni dopo vicino a Venezia. Così anche il crocifisso, posto vicino all’altare, porta i segni di quella notte tragica e disperata.

Fuori, ma all’interno del perimetro elicoidale, si trova l’elenco delle vittime del Vajont. Scendendo al piano inferiore si trova un ambiente semi-aperto che ospita le foto della chiesa settecentesca e le foto di Longarone prima e dopo il disastro, tutte rigorosamente in bianco e nero. Ma in questo luogo sono stati posti anche i resti dell’antico edificio: i capitelli delle colonne e alcune campane, due delle quali sono intatte nonostante la furia dell’acqua le avesse trascinate via per diversi chilometri.

La chiesa, dedicata a Maria Immacolata, sembra davvero che sia stata pensata per celebrare l’architettura e non per cercare di realizzare un luogo dove ricostruire l’identità di un paese e aiutare la gente a ritrovare un rapporto con Dio, che immagino dopo quanto accaduto non sia stato facile per nessuno dei sopravvissuti. Di fronte al tempio, poi, non esiste una piazza vera e propria dove la gente possa socializzare. Forse se si fosse pensato a costruire una chiesa utile ad aiutare un paese a rialzarsi, i risultati sarebbero stati migliori. Sotto molti punti di vista.

Il presente articolo è stato pubblicato, per la prima volta su questo sito, nel mese di ottobre 2013.

Testo di: Michele Tonin per progetto I.L.I.E.
Foto di: Elena Salgari, Silvia Salgari e Filippo Zerman per progetto I.L.I.E.